14 Apr 2014 Fuorisalone 2014: due esperienze a confronto
Il Fuorisalone si è appena concluso e noi vogliamo proporvi due esperienze del nostro team. La prima è scritta da chi lo ha visitato per la prima volta; la seconda invece da chi è un abitué di questo evento. Buona lettura.
1. Tra originalità e “già visto”
Quest’anno posso dire anche io di aver partecipato (finalmente) al Fuorisalone di Milano, insieme al team di Voxart. Non ero mai riuscita ad andare a questo evento (a causa di troppi impegni e del poco tempo a disposizione) e quindi è stata per me la mia prima volta!
Al di la dei contenuti e di quanto visto la domanda fondamentale è “Come sopravvivere alla giornata“?
Innanzitutto bisogna armarsi di scarpe comode per affrontare le lunghe camminate, di macchine fotografiche e/o cellulari per immortalare le opere migliori e di ampie shoppers per la raccolta di flyer e dei gadget più interessanti (e pesanti). Occorrono poi una buona dose di curiosità, di interesse e anche un po’ di critica.
E’ stata una giornata all’insegna della frenesia per vedere Milano che assume un aspetto nuovo e insolito grazie alle installazioni e agli oggetti proposti.
Secondo me però non sempre si è puntato all’originalità e all’innovazione ma spesso si è voluto proporre qualcosa di standard che potesse comunque piacere ma che non si allontanasse troppo da ciò che già esiste. Alcune opere erano parecchio scontate e già viste altrove e per questo forse un po’ fuori contesto.
Per fortuna c’è stato anche qualcosa che è riuscito a colpire la mia attenzione, a stupirmi e a regalarmi una diversa interpretazione dell’oggetto a cui non avrei pensato poiché visto da punti di vista insoliti. D’altronde è questo ciò che il Fuorisalone dovrebbe riuscire a comunicare. Un’esperienza comunque positiva da ripetere e da approfondire maggiormente…
Non mi resta dunque che dire: al prossimo Fuorisalone!
Sara Giacomini
Stagista – Social Media Marketing
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2. Il design non è morto
Fuorisalone: dopo anni di Zona Tortona ho optato per Lambrate Ventura e Brera. Mi limiterò quindi a quello che mi è stato concesso nella giornata di sabato ovvero un sacco di gente, tanti spazi e la solita kermesse. Tutto bene quindi? Forse.
La buona notizia è che il Design non è morto. La “non-cattiva” notizia è che è in una fase di quiescenza congiunturale. Il Fuorisalone però c’è, quindi viva il Fuorisalone della Design Week.
Milano è la capitale del Design? Sicuramente. E lo è come lo sono ormai molte altre città nel resto del mondo. Però Milano è pur sempre Milano: non andarci in questi giorni significa perdere un’occasione per vedere, al di la della facile retorica, un aspetto significativo di quell’affollata famiglia allargata che risponde al nome di “design”. Però, far finta che nulla sia cambiato negli ultimi dieci anni serve a poco.
Gli stimoli non mancano e sono forti soprattutto per l’esperienza portata da nord e da est (Europa): Olanda e Polonia ad esempio. Grafica, design, moda e architettura si fondono in un messaggio pacato e pulito, fatto di sperimentazioni precise e un po’ soggiogate dalle nuove tecnologie quasi che la tecnica, piuttosto che opportunità, sia in alcuni casi un limite comunicativo.
Insomma più “metodi di espressione” che espressione vera e propria: benissimo quindi le stampanti 3D, tutto il filone progettuale dei “makers” con bellissimi esempi di “How to do everything” dove si percepisce una rinnovata voglia del “costruire” che si avvicina alla nuova artigianalità. Mi piace questa rinnovata voglia di sporcarsi le mani. C’è molta attenzione al particolare (“incastri” e fusioni tra i diversi materiali nonchè processi di produzione che sono una goduria cerebrale) ma poca visione d’insieme e progettualità a lungo termine.
L’idea percepita è quella dell‘attesa; non abbiamo dei “ready made” ma molti “non pronto” concettuali: poco, oltre ai tecnicismi, che ti segni la retina, che ti violenti l’anima ma al contrario un bozzolo accogliente di sensazioni pacate e accomodanti, per lo più asessuate e lontane anni luce dalle chiassose sperimentazioni, a volte smodate e dissacranti di edizioni lontane nel tempo.
Ed il bozzolo è instabile. Ogni passo è misurato. La paura di sbagliare è palpabile e fa del concetto di “temporary” il proprio scudo di carta. Insomma durante la giornata avrei voluto che si allontanasse quella sensazione costante del “già visto su Pinterest”.
In sintesi ha ancora enormemente più peso comunicativo ed emozionale tutto ciò che è collaterale: installazioni ed eventi legati alla fotografia, moda, cibo o abbigliamento dove fortunatamente resiste la voglia di stupire e di far parlare. Ma va bene così, inutile negarlo, la settimana del design la odiamo e la amiamo anche per le tartine minimaliste e gli aperitivi annacquati. L’anno prossimo abbiamo l’Expo e forse questo Salone/Fuorisalone ha rappresentato le “prove tecniche di trasmissione” della macchina organizzativa milanese.
Michele Scarpellini
Art Director